L'inventasorrisi
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La notte in città può essere fredda. Bisogna tirar su il bavero, calar bene il cappello e camminare a passo spedito, così da scaldar tutto, anche il cuore.

Soprattutto se in mente c’è un’idea che scalpita e non vede l’ora di essere realizzata.

Così accadeva a Giuseppe, era molto tempo fa, e lui era solo un ragazzino, garzone di bottega in un bar storico della città. Quattordici anni e gli occhi brillanti di chi ha già chiaro il proprio futuro.

Le idee, le ambizioni, sono così: calde, luminose, ma è necessario coltivarle, perché non diventino evanescenti e pallide. E dunque, Giuseppe la strada umida della sera la calpestava con allegria e a passo svelto, nonostante i suoi pochi anni, andava a lavorare. Prima un bar, poi un altro, e un altro ancora.

Esattamente come un mago, osservava le mosse dei maestri di cui con intelligenza si circondava. Li guardava miscelare gli ingredienti, non di più, non di meno. Un pizzico di sale, a volte pepe, una foglia di menta, un po’ di polvere di stelle, una presa di musica argentina, un fiore di zagara.

E intanto apriva i cassetti della sua memoria e li riempiva di informazioni, idee, spunti. Imparava a riconoscere i sapori al solo profumo, se c'era troppo di qualcosa lo sentiva al solo odore, o se non ce n’era abbastanza.

E poi i colori. Quello sarebbe diventato il suo segreto: come i colori si mischiavano l’uno con l’altro per diventare del tutto diversi, un'invenzione, dando luogo a profumi mai sentiti. Sarebbe stata quella la sua magia.

I sogni e le aspirazioni di Beppe, però, andavano a scontrarsi con un problema che affliggeva la sua cittadina. Da qualche anno la nebbia, che era familiare ai suoi abitanti, era diventata innaturale, molto densa, quasi si poteva toccarla. Spesso la coltre che si formava per le strade e scendeva dai tetti era così compatta da ostacolare i raggi del sole che a stento riuscivano a toccare terra. A risentirne di più era l’umore dei cittadini, ma anche per le piante era davvero difficile crescere e prosperare. Il buonumore e l’inventiva del ragazzo non bastavano a restituire l’allegria di un tempo ai suoi compaesani. Decise, allora, di trovare una soluzione e lo fece mettendo in gioco tutte le sue abilità. Si rinchiuse nel retrobottega deciso a uscirne solo quando avesse creato la pozione capace di restituire la felicità.

E allora scelse il bianco, trasparente, una lente di vapore sul mondo; scelse il rosso, denso e caldo; scelse di aggiungere qualche scintilla calda presa al volo dal focolare, per il movimento, l’allegria. E mescolò. E poi rimescolò. E poi, certamente, assaggiò. Dopo molti tentativi, sembrava perfetta, ma, come tutte le magie, era necessario che qualcuno subisse l’incantesimo per capire se fosse quella la pozione giusta. La Rossa Letizia! Così la chiamò, per il colore, per il profumo, per la speranza.

Beppe aveva bisogno di un aiutante, una cavia. E quel qualcuno Beppe lo conosceva. Si trattava di un omino burbero e magrolino, dallo sguardo accigliato. Il più brontolone tra i borbottoni, sempre con quegli occhialetti e sciarpa: è la persona giusta cui far assaggiare la Rossa Letizia.

Arrivò al bar che era notte inoltrata, si sedette al bancone e aspettò. Beppe, con il suo consueto charme, si raddrizzò l’immancabile cappello sulla fronte, sfoggiò il suo miglior sorriso e propose al signore con la sciarpa la sua pozione.

Questi prese il bicchiere, bello, di cristallo, lo mise controluce, lo annusò, lo mosse un pochino e poi lo guardò e fece un sorso piccolo. Sorrise, ne fece un altro più lungo.

“Com’è? Che te ne pare?” Gli chiese Beppe. Ma lo vedeva da sé, la pozione aveva già compiuto il suo incantesimo e dal primo sorso fu tutto un saltellare, battere le mani, passi di tango con la signora con la gonna verde che tornava dalla toilette.

Con la signora sottobraccio, uscì per strada. Beppe, con un sorriso raggiante, li seguì. L’omino camminava saltellando, col bicchiere di Rossa Letizia in mano. La signora dalla gonna verde lo assecondava felice. Man mano che i loro passi toccavano terra, la nebbia densa e fitta si diradava e sembrava che attorno ai due tutto prendesse vita. Le pietre della strada lastricata si tingevano di colori brillanti al loro passare e i colori rallegravano i muri delle case, delle finestre. Facevano luccicare i lampioni. Persino qualche uccellino prese a cantare. Arrivati al centro del paese, laddove sorgeva il grande albero malato, il signore si avvolse con un gesto elegantissimo la sciarpa attorno al collo e poi passò a Beppe il bicchiere ancora colmo a metà. “Proviamoci, ragazzo mio, vedrai che funzionerà!”. E Beppe ci provò: versò goccia a goccia la sua Rossa Letizia ai piedi dell’albero. In un attimo, l’albero parve come risvegliarsi. Dai rami torti e secchi nacquero piccoli getti, che in pochi istanti diventavano foglie, decine e decine di foglie, e poi gemme, pronte a trasformarsi in nuovi frutti.

Quella pozione era davvero portentosa! Da quel giorno, la cittadina tornò ad essere quella di un tempo, ma ben presto, gli abitanti capirono che la magia di Beppe non poteva fare tutto da sola, e così, si ripromisero di impegnarsi a costruire un futuro colorato e pieno di speranza.

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La storia di Beppe
Beppe
Ospite della Residenza Anni Azzurri Villaggio San Francesco (Villanuova sul Clisi, BS)
Letta da Giuseppe
Giuseppe
Ospite della Residenza Anni Azzurri Santena (Santena, TO)
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