

Vi era un tempo, in cui due sorelle, bambine, e poi ragazze, belle, gentili, vivevano nella tranquilla quotidianità tipica del secolo scorso. Clelia e Varna. La prima era studiosa e curiosa verso tutto quello che fosse legato alla scienza, l’altra con meno voglia di trascorrere il tempo sui libri, aveva un carattere allegro, generoso che le faceva apprezzare con gioia la compagnia degli altri e soprattutto dei suoi familiari. Varna adorava la sorella maggiore e la seguiva ogni volta che poteva, guardandola con ammirazione. E la sorella ricambiava il suo affetto con la stessa intensità, infatti ci teneva moltissimo a realizzare un desiderio della bambina: andare al mare, tutti insieme, in macchina e non con la corriera. Era un bel sogno, più che un desiderio, perché la macchina non l'avevano… In compenso avevano un asso nella manica e si trattava del talento di Clelia.
Capitava infatti che le ragazze camminassero assieme. All’improvviso ecco che, mentre Varna proseguiva per il parco, Clelia si allontanava per andare laddove nessuno si aspetterebbe. Clelia aveva una passione profondissima per i motori. In mezzo ai motori, alle macchine, agli attrezzi degli operai, la affascinava la potenza della meccanica, la velocità che tagliava l’aria, che permetteva viaggi altrimenti impossibili, che conduceva altrove.
Un giorno di luglio, entrando in officina, si accorse di una macchina piuttosto malridotta, era arrugginita in più parti ma, soprattutto, le dissero, aveva una serie infinita di problemi al motore, non valeva la pena di perderci tempo. A Clelia, invece, brillavano gli occhi per l’entusiasmo. “Se non vi dispiace e non vi è utile ad altro, posso provarci io?”. Il vecchio proprietario dell’officina fece spallucce, come a dire: se hai tempo da perdere…
Clelia aveva trovato il modo perfetto per impiegare il tempo morbido dell’estate: avrebbe aggiustato quella macchina e poi avrebbe accompagnato tutta la famiglia al mare!
Trascorreva dal meccanico tutte le mattine e poi tutti i pomeriggi. A volte, dopo un’intera giornata in officina, se doveva andare a teatro con la famiglia doveva indossare i guanti di raso, persino col caldo d’agosto, perché l’olio del motore dalle dita non veniva via. Ma che gioia! A furia di confrontare i disegni, i prospetti, con i pezzi che ripuliva e aggiustava, il motore andava tornando al suo iniziale splendore. I “click” di quando qualche pezzo andava esattamente al suo posto la esaltavano.
Era una mattina di fine agosto, quando, sistemandosi i capelli, Clelia capì che il suo lavoro era concluso. Salì sull’auto, senza far caso a quanto fossero polverosi i sedili e girò la chiave nella toppa. Il volante tra le sue mani cominciò a tremare, persino i pedali sotto ai suoi piedi le sembravano tremolanti, molli. Che qualcosa stesse andando storto? No, dopo quegli strani rumori la macchina partì senza fatica.
Mentre andava per la sua, contenta di essere riuscita ad aggiustare quella macchina, fu distratta dalla presenza di un ragazzo sul ciglio della strada. Frenò di colpo e scese dall’auto. Un ragazzo giovanissimo stava di fianco a una macchina splendida, lucente, dalla linea aerodinamica e affusolata. Completamente diversa dalla sua. “Sembra che questa meraviglia abbia qualche problema” disse Clelia con un sorriso. Il ragazzo la guardò perplesso. “Speravo che qualcuno si fermasse ad aiutarmi. Io non riesco a capire cosa possa essere successo!” La camicia del ragazzo era zuppa di sudore, le mani e il volto sporchi di polvere.
Clelia fece un mezzo sorriso, fuori dall’officina e dalla sua famiglia nessuno la considerava capace di intendersene di motori. Era una donna! Come avrebbe potuto! Lo stesso stava facendo quel ragazzo. Fu tentata di lasciarlo in compagnia del suo motore in panne, ma la curiosità di capire quale problema avesse quello splendore fu più forte e disse: “Io posso aiutarti!”. Il ragazzo la guardò incerto e rispose: “Si sono fermati in due a darmi una mano, cosa credi? Non fa per te. Certo, se vuoi provare… io intanto vedo di far fermare qualcun altro”. Clelia non se lo fece ripetere e si mise al lavoro.
Mentre ispezionava il motore e le sue mani si muovevano su di esso con consapevolezza, il ragazzo le si avvicinò e cominciò a curiosare: “Sembri intendertene!” affermò incredulo, mentre guardava Clelia lavorare sul motore concentrata. Cominciò a raccontarle dei suoi sogni, con una naturalezza che rendeva la conversazione come in famiglia: desiderava diventare un pilota, sfrecciare sui circuiti più famosi, oppure, forse meglio, studiare per diventare un esperto tanto da progettare le sue auto, che fossero veloci e perfette!
A Clelia sembrava di sentir parlare lei stessa. “Sembra che tu stia parlando dei miei sogni!”. Si ripulì le mani sui fianchi. “Dai! Prova ad accendere!”. Il ragazzo entrò in macchina, al primo tentativo quella si mise in moto. “Grazie, sei proprio una maga dei motori!”, Clelia lo salutò soddisfatta di sé.
Tornata in macchina, Clelia accese il motore pensando a come sarebbe stato buffo se ora il suo bolide arrugginito l’avesse lasciata in mezzo alla campagna e invece… Qualche scoppiettio e via! Verso casa!
Si fermò sotto al balcone di casa sua strombazzando. “Scendi, si va tutti al mare!”.
Varna sbucò dal portone come se fosse stata lì dietro ad aspettarla, ancora coi sandali slacciati e il golfino infilato a metà. La mamma e il papà arrivarono poco dopo. “Ma la mamma non ci entrerà mai in questo catorcio! C’è più polvere qui che in cantina!”, disse Varna ridendo allegra. “Ma certo che ci entro! E della polvere non mi importa proprio nulla, anzi! Mi metto al posto davanti, a fianco della mia splendida Clelia, maga dei motori!”.