

C'era una volta un paese chiamato Sveglietto, affacciato su un grande specchio d’acqua noto come Lago Mangione. La leggenda narra che si chiamasse così perché di notte mangiava tutte le stelle riflesse sulla sua superficie, mentre di giorno ogni goccia d’acqua luccicava accarezzata dai raggi del sole.
Nel cuore di Sveglietto sorgeva il castello di Ballgod, proprietà del grande re Mos. Lì vivevano principi e principesse che – troppo anziani per governare i loro regni - avevano deciso di trascorrere i loro ultimi anni tra banchetti, conversazioni altolocate e balli di corte.
Gli abitanti di Ballgod amavano trascorrere le loro giornate passeggiando nel grande parco che circondava il castello o divertendosi con i giullari e i cavalieri che li proteggevano e si prendevano cura di loro.
Ogni sera, i principi e le principesse, si ritiravano nelle loro torri per riposare: le giornate trascorrevano liete ma loro non avevano più l’agilità di un tempo e le attività svolte, seppur gioiose, li stancavano molto. E così, mentre di notte il Lago Mangione inghiottiva le stelle del cielo, loro sognavano i tempi in cui galoppavano sulle colline di Sveglietto a cavallo dei loro agili destrieri.
Tutti riposavano, tranne una: la principessa Fuochira, figlia del grande re Fuoco, della dinastia dei Fon, noto per essere il padrone di tutti i draghi del regno che ogni giorno trasportavano i cavalieri e proteggevano le esili principesse.
Fuochira era cresciuta così, circondata da tutti quegli animali possenti e spaventosi. Ogni sera, quando con il calar del sole, tutti i grandi draghi tornavano dal re Fuoco al drago-porto di Ortensa, per nutrirsi e riposarsi, lei gli portava grandi vassoi d’argento colmi di peperoncini piccanti, indispensabili per alimentare il loro fuoco. Passeggiava in mezzo a loro che si lasciavano accarezzare i nasi fumanti, riconoscendola come una piccola amica fidata.
Fuochira non aveva nessuno oltre a suo padre e considerava i draghi la sua famiglia e i suoi amici di sempre. Ma il tempo scorreva veloce, e con esso avanzava la tecnologia. Ben presto, i drago-amici di Fuochira andarono in pensione e vennero sostituiti dai meccano-draghi: macchine efficienti che non avevano bisogno di essere nutrite, non si ammalavano e non gradivano nemmeno più le coccole che Fuochira riservava ai suoi drago-amici tutte le sere.
Anche Fuochira, col passare del tempo, invecchiò. Quando il re Fuoco si spense, in una fredda e ventosa mattinata invernale, lei rimase sola ad Ortensa. I suoi draghi, ormai anziani e stanchi, erano tutto ciò che le restava. Un giorno, mentre riposava tranquilla sulle loro tiepide pance squamose e dondolanti, venne svegliata di soprassalto da uno squadrone di guardie armate che le dissero in tono solenne: “Il Tiaravirus ha colpito tutti i draghi del regno, solo i meccano-draghi si salveranno. Tu, Fuochina, verrai condotta al castello di Ballgod per proteggerti dal contagio!”.
Fuochira pianse a lungo. Le si spezzava il cuore al pensiero di lasciare i suoi amati draghi in balia di un triste e inevitabile destino, ma dovette piegarsi al volere delle guardie armate. Le seguì, con il capo chino e le lacrime che inzuppavano le sue scarpine rosa di velluto.
Quando arrivò al castello di Ballgod, non le sembrò così male ma il suo cuore spezzato le pesava nel petto come un grosso macigno. Le venne assegnata la torre numero 120, con un vero letto su cui riposare e un bel armadio per i suoi graziosi abiti a fiorellini. Cavalieri e damigelle le portavano ogni giorno cibo e bevande. Erano gentili e premurosi ma lei non riusciva a smettere di pensare ai suoi draghi e a quanto fosse bello addormentarsi sulle loro tiepide pance squamose e dondolanti. Fuori da quella torre Fuochira sentiva spesso dei rumori spaventosi, a volte sembravano urla, a volte risate… certo non erano le voci calde e rassicuranti dei suoi amati amici. A volte, quando quei rumori si facevano più insistenti, sbirciava da una fessura della porta e vedeva strani esseri, che avevano ruote al posto delle gambe e cinture azzurre al posto di velli o armature. Così chiudeva lesta la porta e si rifugiava sotto le coperte, immaginando che fossero le ali dei suoi amati draghi che l’abbracciavano. Quando riusciva ad addormentarsi, tra una lacrima e l’altra, sognava che Phobia, il suo drago preferito, fosse lì ai piedi del letto a vegliare su di lei e a proteggerla dalle insidie di quegli strani esseri che si aggiravano ad un passo dalla sua torre.
Ma una notte sognò qualcuno di diverso: Costantino, uno dei cavalieri che ogni giorno le portava il cibo fin dentro la torre. Lui aveva qualcosa di speciale: non si limitava a servirla, le spostava le coperte/ali e le parlava guardandola negli occhi: “Fuochira, amica mia, alzati, vieni a mangiare nella sala dei banchetti, vedrai che là il cibo è più buono di quello che mangi tutta sola nella tua torre”. Fuochira, non aveva mai immaginato di avere amici che non fossero draghi ma Costantino la chiamava “amica mia”, e così iniziò a fidarsi di lui.
La mattina successiva, Costantino entrò nella sua torre con una colazione principesca e le disse: “Fuochira, amica mia, oggi ci facciamo belle perché verrai con me a pranzo nella sala dei banchetti. Ti accompagnerò io, non dovrai temere nulla.” Fuochira non riuscì a dire di no, forse perché quando i suoi occhi si incrociavano con quelli di Costantino, sapeva di essere al sicuro. Fu così che il cavaliere le preparò il suo abito più bello, le spruzzò un po’ di profumo di lillà, le mise sugli occhi una luminosa polvere di brillantini e sulle labbra estratto di ciliegia del bosco incantato. Le pettinò i lunghi capelli, le mise sulle spalle un vello color bucaneve, le dipinse le unghie con petali di rosa e mise il suo braccio sotto al suo. Fuochira arrivò alla sala dei banchetti sentendosi davvero una principessa, scoprendo che quegli strani esseri con le ruote in realtà erano principi e principesse come lei, le cui gambe non li reggevano più con la fierezza di un tempo.
Da quel giorno Fuochira pensò di meno a Phobia e sempre più al cavalier Costantino. Con lui eplorò nuovi luoghi: la Sala del tè, il Salone delle cerimonie e perfino il grande parco che circondava Ballgod. Una sera, Fuochira cantò addirittura al microfono del cantastorie Romano, davanti a tutti i principi e le principesse.
Ogni tanto Fuochira pensa ancora a Phobia, ma poi arriva Costantino e allora lascia che il suo drago-amico resti ai piedi del letto nella torre 120, mentre lei, a braccetto del suo Cavaliere, attraversa sorridente tutte e cento le stanze del castello di Ballgod, salutando, sorridente e fiera, tutti i suoi abitanti.